#6 shottino
Le donne nella storia dell’arte hanno tendenzialmente meritato lo stesso spazio che è toccato alle donne nel Medioevo o ancora alle donne nella scienza. Le vedo che si salutano dai loro box gialli al termine dei capitoli dei libri di storia e di scienze, rinchiuse nei loro recinti di approfondimento che nessun studente e nessuna studentessa leggerà mai, perché tanto, nella verifica, non verranno interrogate le loro vite e le loro storie. A pensarci bene la cosa importante da mettere in evidenza è che prima di tutto siano donne e, in seguito, quasi per caso, che siano state anche capaci anche di vincere un Nobel per la Chimica grazie ai propri studi.
L’opera Belted Trough rompe letteralmente e metaforicamente questo limite. Numerose e fortemente fossilizzate sono le disparità di genere anche nel mondo dell’arte e, purtroppo, saper nominare le artiste è molto più faticoso che nominare artisti, soprattutto guardando al passato.
L’artista, Monica Bonvicini, raccoglie cinture da uomo nere, le compone in una massa indistricabile, come se fosse un sacco da box, e allestisce l’opera a partire proprio dallo spazio che essa occupa: si impone nel museo rompendo il soffitto e pendendo dall’alto. I visitatori e le visitatrici sono obbligat* a cambiare il proprio sguardo, osservare in alto là dove, solitamente, non si trova nessun'opera d’arte. Imporre uno sguardo differente è anch’essa un’operazione densa di significato: un approccio diverso lo richiedono, infatti, anche le discipline e le materie scolastiche, i cui programmi sono invariati da decenni e, verso le quali, non sta ancora avvenendo una narrazione e un’operazione di rilettura più sfaccettata e complessa.
L’opera, dicevo, rompe letteralmente il soffitto della stanza in cui è allestita: Bonvicini è consapevole che quello spazio non bisogna meritarselo, ma bisogna prenderselo anche senza essere state gentilmente invitate. Monica Bonvicini vive e lavora a Berlino, nella sua ricerca artistica riflette in particolar modo sullo spazio, che diventa sociale e politico, sulle disuguaglianze di potere e sui meccanismi di controllo che la società occidentale adotta per mantenere intatto tale potere. E’ un’artista che denuncia le ipocrisie: questo traspare dai materiali che adotta nelle sue opere, metallici, pungenti e non considerati canonicamente artistici, e da ciò che lei stessa dichiara e afferma, non a caso una delle sue ultime mostre ha preso il titolo di I cannot hide my anger.
La sua produzione è scomoda e respingente, è densa di rabbia, di distruzione delle norme sociali e svelamento di tutti quei tabù di cui abbiamo scritto anche in #25 Birrette frivoletta (o forse no) e in #23 Che schifo! e altri mostri, che hanno come obiettivo quello di mantenere le donne al loro posto, ovvero il più marginale possibile.
La settimana scorsa sono stata ad arrampicare in una palestra insieme a due mie amiche. Dopo aver preso confidenza con lo spazio e con l’altezza non ho potuto fare a meno di notare gli incitamenti e le urla che sentivo da parte di alcuni ragazzi presenti. Non vi era una disparità numerica tra maschi e femmine in quell’ambiente, ma mi è parso subito molto chiaro quanto i ragazzi si sentissero legittimati a gridare forte, incitarsi a vicenda a voce altissima quasi come se non ci fosse nessun altro intorno, in una maniera a cui noi ragazze non siamo abituate né ci è mai stato concesso di fare.
Una mia amica una volta mi parlò di una ricerca in cui è stato dimostrato che, durante conferenze pubbliche, statisticamente vengono fatte molte più domande dagli uomini che dalle donne; soltanto a seguito di una domanda fatta da una donna, anche altre si sentono incoraggiate a farne. La disparità di genere dimostrata dallo studio riguardo questo comportamento non è certamente un caso.
Occupare spazio, alzare la voce, affermare la propria presenza fisica è un atto politico, che storicamente non è stato concesso alle donne, e tuttora influenza fortemente le scelte personali e sociali. Pensateci: quante volte in una determinata situazione, a lezione o durante un evento, vi è capitato di voler fare una domanda, condividere una riflessione e non farla per un qualche timore di esporvi o senso di vergogna? A me è capitato spesso e riesco esattamente a ricordarmi in quali situazioni e quali sensazioni ho provato. Vorrei saper rendere la mia rabbia sempre più manifesta, senza dovermene vergognare; vorrei sapermi autorizzare a dire ad alta voce ciò che penso e scrivere senza paura ciò che desidero, vorrei imparare dalla magnifica Rebecca Welton in Ted Lasso ad occupare più spazio.
Shottino è un format di Birrette per Posta. Mentre in Birrette creiamo un mix inaspettato, anche per noi, di pensieri e suggestioni, Shottino sarà un sorso rapido e intenso in cui racconteremo un solo ingrediente, letterario o artistico che ci ha particolarmente colpito. Shottino arriverà ogni mese e, alternativamente, troverai o un consiglio di lettura, curato da Marta, oppure il racconto di una mostra o di un’opera d’arte curato da Francesca.
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